PAST FUTURE
di Giuseppe Sorce


Dove sono?

Cosa vedono i miei occhi quando sono rivolti a me stesso?

Una sera, in un pub di Bologna, davanti a troppo birre per me, uno scrittore mi chiese «come definisci l’immaginario?». Beh, ho provato a rispondere. Ho elaborato definizioni macchinose.


Chi sono, nel mondo che mi viene incontro anche dal tempo, passato e futuro?

K. C.: make me nostalgic for lives I've never lived.[i]

G.: this song brings back memories i've never had

Non so definire l’immaginario. Posso provare a farne un’etnografia?

Da qualche tempo si è sviluppata una tendenza nella musica indipendente, la ricerca e il riutilizzo di suoni anni ’80. I musicisti ricostruiscono con i moderni software quei suoni o con effetti analogici e vecchi strumenti. Basta andare su Youtube e ascoltare, vedere anche, poiché spesso anche i video sono filmati d’epoca o tentativi visuali di ricrearne le atmosfere, i colori, i volti. “Past future”, come lo chiama Com Truise, musicista. «I kind try to put myself in a position where I watch a lot of like 80s science fiction films and stuff like that, I try to put my mind in a place of the person who was designing the sense, what they had to come up with, what how they thought technology would look, the lighting and the buttons… I try to think about stuff like that so someone had to think of the future in the past so I kind of try to live inside that space».[ii]

Z. S.: this makes me nostalgic for friends i never had in a time i never lived in and i love it.

Ciò che non ha epoca sono le emozioni. Ciò che oggi abbiamo è una quantità sterminata di “passato”. Un immaginario concreto che si può vedere, si può sentire, esiste. Feticci tecnologici, reliquie di una vita che non può esserci più. Gli oggetti portano con loro luoghi, aspettative e speranze. Il loro fascino perverso pizzica come una scheggia impalpabile sui polpastrelli. Il richiamo è ad uno spazio da togliere o da riempire. L’immaginario passato e di un passato. La dimenticanza fonda uno spazio dell’assenza.

Perché gli anni ’80? Un vecchio film anni ’80, o primi anni ‘90, per la mia generazione, è l’infanzia. Un vecchio videogame, i pomeriggi dopo la scuola, l’angoscia di averci giocato troppo poco. Una videocassetta, le domeniche pomeriggio. Le diapositive e la foto di papà e le zie con le spalline sotto le giacche, la mamma che fumava Camel dal pacchetto giallo. Le immagini sono resti di tempo, i ricordi tempo che resiste, emozioni reinventate ogni volta. E le emozioni non hanno epoca. Le voci resuscitate dagli oggetti risuonano nelle soffitte, la vecchia cyclette in salotto, e nella testa.

M. P.: i can't stop listening to this. it makes me feel everything

L. M.: Feelings that I didn't even know existed

A.: I feel so incredibly alone.

M. J.: This song gets in my soul so deeply...

Rintracciamo la filogenesi, ripercepiamo i luoghi. «La rêverie è uno stato interamente costituito fin dall’istante iniziale. Non la si vede affatto incominciare e tuttavia essa incomincia sempre allo stesso modo, fugge davanti all’oggetto vicino e improvvisamente si trova lontano, altrove, nello spazio dell’altrove» (Bachelard, La poetica dello spazio, p. 216). Allora rêverie come nostalgia operativa. Se c’è un emozione che ci individua in quanto generazione di fine secolo è la nostalgia.

L. N. : this is pure art

La nostalgia oggi può essere vissuta, percorsa, esperita, attraverso concrete produzioni, riproduzioni, artistiche. Andate a vedere un po’ di vaporwave[iii] per esempio. Andate ad ascoltare un po’ di vaporwave. Andate perché io non riesco a spiegarvelo. Come si può definire l’immaginario? Perché per me questi sono tentativi, sonori, visuali. Costruire espressioni di immaginario.

Audio tapes, giacche di camoscio, olympus analogiche, montature in osso, zaini a cinghie, macchine da scrivere al mercatino vintage sotto casa, molto più cari di quando sono entrati in commercio.

Un immaginario che si fa concreto, una nostalgia che si fa frequentabile, condivisibile, esperibile. Una dimensione emotiva che diventa spazio virtuale, ambiente in cui ci si scambia commenti, si condividono sensazioni e altri brani e altri video ancora. La nostalgia e la strana-filia di un passato che continua ad alimentarsi.

Ancora una volta basta andare su Youtube. Bastano un pc e una connessione internet per rivivere dei ricordi mai avuti, per riascoltare melodie, frequentare atmosfere che hanno accompagnato le vite dei nostri padri e trasversalmente anche le nostre. Solo che non lo sapevamo, era tutto da qualche parte, impresso a colori nel «paesaggio delle mente» (Meschiari, Geonarchia, p. 55).

Nell’epoca del nuovo nomadismo, basta andare su Youtube per sentirsi di nuovo a casa.

A. A.: this song will always be home..





Ascolti visivi per iniziare:

Cemeteries

https://www.youtube.com/watch?v=YxbeynIfzd8

Vaporwave mix

https://www.youtube.com/watch?v=pp1NWRDl0pI

https://www.youtube.com/watch?v=ea_UOPzuyZU

https://www.youtube.com/watch?v=PBxWrC7FTQs

Com Truise

https://www.youtube.com/watch?v=E034wcww390

https://www.youtube.com/watch?v=sIuVwTAGhQ4




[i] Tutte le frasi riportate di seguito sono alcuni dei commenti che si possono leggere su Youtube nel video di Sodus, di Cemeteries (link nei suggerimenti)
[ii] Da una video intervista. https://www.youtube.com/watch?v=n1CVuRYG_Wo
[iii] «La vaporwave è stata interpretata come una critica distopica al capitalismo» (wikipedia).

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