New Babylon
Ricordate le soirées dada, le deambulazioni dei surrealisti,
le derive urbane dei situazionisti? Per tutto il ventesimo secolo le avanguardie
hanno immaginato un futuro nomade, erratico, fatto di spazi urbani cangianti, dove
nulla è ciò che sembra e ogni angolo, ogni strada, ogni piazza può trasformarsi
nel luogo di un evento, di un incontro, di una situazione.
La situ-azione – l’azione
di situarsi, che rende uno “spazio”, liscio e neutro, un “luogo”, striato,
denso di emozioni, gravido di incontri – è la risposta che artisti e
intellettuali del ‘900 hanno dato a quella che secondo Marx è la grande piaga della
civiltà industriale: l’alienazione. Con l’aumento esponenziale della produzione
e dei consumi, nel volgere di poche generazioni la geografia dei grandi
agglomerati urbani è stata stravolta, e quelli che un tempo erano luoghi di scambio
e di incontro personale – le strade, le piazze, le chiese – hanno lasciato il
posto a spazi di transito per grandi masse anonime.
Negli anni ’90 l’antropologo Marc Augé divenne famoso per
aver dato un nome – nonluoghi – a
queste terre di nessuno che stavano divorando le nostre città: aeroporti, shopping
mall, banche, catene di fastfood, etc.. La sua analisi, però, soffriva di un
vizio di fondo: identificava i nonluoghi
con degli spazi fisici, laddove il nonluogo
(al pari del suo fratello maggiore, il luogo)
non è una cosa, uno spazio concreto, ma una forma di relazione, una modalità di
vivere qualsiasi ambiente urbano, riducendolo a mero oggetto di consumo da
parte di una massa anonima.
Qualsiasi luogo
può diventare nonluogo, può essere
cioè fruito nelle medesime modalità di un terminal aeroportuale o di un fastfood:
il fenomeno del turismo di massa, ad esempio, oggi in ascesa esponenziale, mobilita miliardi di persone (la sola Cina ha
un volume di turismo interno di circa
2 miliardi di unità annue…), che si spostano da un luogo all’altro del globo
per il tempo di una fotografia, come cavallette che sciamano stagionalmente su
città d’arte, siti archeologici, spiagge, canyon, luoghi panoramici. Nel
turismo di massa i luoghi diventano meri oggetti di consumo estetico, la loro
identità è lisciviata fino a diventare nonluoghi, anonimi spazi di transito per
masse cangianti di individui che vi sostano per il tempo di una fotografia. È
questo il destino di molte località di interesse turistico, siano essi piccoli
centri come Riomaggiore o San Gimignano, ormai ridotti a scenografie
disabitate, o intere città come Firenze e Venezia.
I nonluoghi sono
come il Nulla della Storia Infinita,
che avanza divorandosi il mondo di Fantasia.
Le avanguardie del ‘900, culminate col situazionismo negli
anni ‘60, hanno unito le forze per arginare l’avanzata del Nulla. Deambulazioni,
derive, psicogeografie, flash mob teatrali, film, letteratura, arti visive:
hanno dispiegato ogni mezzo per combattere l’alienazione delle città
occidentali, immaginando una città dell’avvenire dove donne e uomini sono
svincolati dai lacci del lavoro, della religione, della famiglia nucleare, e
conducono un’esistenza leggera e nomadica, punteggiata di relazioni liquide che
si addensano e si sciolgono sulla base della condivisione di interessi.
I situazionisti chiamavano urbanismo unitario questa città dell’avvenire, ludica, creativa,
interconnessa, fatta di incontri fugaci e di continui detorurnements degli spazi, sempre pronti a cambiare di significato
a ogni nuovo utilizzo, a ogni nuovo incontro di cui sono teatro.
Il pittore e
architetto situazionista Constant Nieuwenhuys ha dato un’estetica a
quest’utopia urbanistica indiano-metropolitana, dipingendo e costruendo maquettes
del suo mondo di Fantasia, che chiamò
New Babylon. New Babylon era la città nomade del futuro: una sterminata
città-tenda che copriva il mondo intero, sospesa su palafitte in modo che i
suoi abitanti potessero transitare da un luogo all’altro utilizzando gli ambienti
architettonici per condurre affari, fare incontri, vivere situazioni. New Babylon è
l’utopia situazionista dell’urbanismo unitario diventa materia, una città-mondo
fatta di luoghi di transito e architetture effimere come delle tende berbere.
* * *
New Babylon oggi non è più un’utopia, ma la nostra
realtà, la città in cui abitiamo, sia essa una metropoli o una manciata di case
su uno scoglio in mezzo al Mediterraneo. La
civitas globale di cui fanno parte le nostre città è la Nuova Babilonia
immaginata dai situazionisti.
Scriveva Constant negli anni ‘70: “la struttura di New
Babylon è quella di una rete […]. Indipendente dalla natura, il neobabilonese
potrà creare a volontà il suo ambiente intorno. Le reti neobabilonesi
rappresentano le tracce del suo passaggio sulla superficie della terra”. La Rete
è oggi compiuta, ma non è una rete di infrastrutture come quelle immaginate da
Constant nei suoi dipinti e nelle sue maquettes,
bensì una rete di connessioni elettromagnetiche immateriali.
La città-rete sognata da Constant si è realizzata oggi sottoforma
di rete-città: l’ “urbanismo unitario” con le sue reti urbanistiche, ha assunto
una forma concreta nelle reti telematiche della civitas globale. Da urbanismo unitario a telecomunicazione
unitaria: è questa la traiettoria storica di New Babylon, dall’utopia visionaria degli anni Sessanta alla realtà
degli anni 2000.
Per noi odierni neobabilonesi l’urbanismo unitario dei
situazionisti non è un sogno ma un ritratto della civitas globale in cui
viviamo, fatto non di pietre e mattoni ma di circuiti. Se scrutiamo oggi tra le
nebbie dell’avvenire quello che vediamo al di là delle mura di Nuova Babilonia
non è più nemmeno una città, ma la selva del Pleistocene, una città vegetale,
una città-foresta, o una foresta città, una Pleistocity.
Prima di conflagrare e perdersi nella selva, però, la civitas si sta ripiegando su se stessa, diventando un’unica massa in cui tutto si fonde, stili, culture, religioni, lingue. Come nella Babele biblica, anche la lingua di noi neobabilonesi è un risciacquo di lingue, un esperanto globale.
Il neobabilonese non costruisce con la pietra, e nella pietra non scolpisce le sue parole, ma affida i suoi messaggi all’oceano della Rete, dove si confondono in un mormorio indistinto, in un cinguettio.
Il neobabilonese non è un cacciatore nomade, sicuro dei suoi
bisogni e delle sue capacità, in lotta per la sopravvivenza, ma l’abitante
senza volto di una città-mondo che non conosce un fuori. Il paesaggio in cui
conduce la sua esistenza è simile a una deriva situazionista: non risponde alle
attese, disorienta, crea molteplicità incontrollate. La sua caratteristica è la
molteplicità, la compresenza di infinite informazioni in ogni luogo e in ogni
momento, come il Dio-sfera infinita di Meister Eckhart, il cui centro è ovunque
e la circonferenza in nessun luogo. Il mondo è diventato un villaggio e ogni
villaggio contiene in sé il mondo intero: il villaggio globale è la forma New Babylon, quel che resta della civitas
prima che torni la selva.
* * *
Nessuna fantascienza aveva immaginato la Rete. Tutto è stato previsto,
desiderato e sognato prima che si realizzasse, tranne quella che oggi è la
forza che muove il mondo: Internet. Perché? Perché Internet non è una macchina,
ma un medium, non è una cosa ma una relazione. Si possono immaginare macchine
nuove prima di costruirle, come il Nautilus di Jules Verne, ma non nuove forme
di comunicazione prima di averne bisogno. Fino alla caduta del muro di Berlino
non si sapeva di aver bisogno di una rete di comunicazione globale, quando è
caduto (1990) ci siamo accorti che ce l’avevamo già da trent’anni ed è bastato
il World Wide Web per dare vita alla Rete (1991).
Scrive Constant: “Senza orari da rispettare, senza domicilio
fisso, l’essere umano conoscerà necessariamente una vita nomade in un ambiente
artificiale, interamente costruito”. Proprio quello che succede a noi neobabilonesi,
con la differenza che lo spazio artificiale dell’autentica New Babylon – l’attuale
civitas globale della Rete – non è artificiale in quanto costruito, ma in
quanto virtuale. L’utopia reale della
rete dell’urbanismo unitario è stata sostituita dalla realtà virtuale della Rete
globale della comunicazione.
L’ambiente artificiale-virtuale apre opportunità impensabili
– poter essere virtualmente ovunque, proprio a partire da qui, dove ci troviamo
(now here) –, ma implica dei rischi altrettanto grandi: non essere più
realmente da nessuna parte (no where), perennemente distratti dalla nostra vita
online. D’altra parte, è sempre il solito vecchio libro da sfogliare: come
diceva Rimbaud, il prezzo della modernità è che la vrai vie est absente.
Dada, il surrealismo, il situazionismo, il punk sono
stagioni superate in quanto realizzate, e dunque integrate: aufgehoben. Il disorientamento, la
frammentazione, lo shock sono oggi elementi organici del sistema dominante, che
genera disorientamento per poter vendere orientamento, produce spaesamento
urbano per vendere paesaggi incontaminati, evoca insicurezza per vendere rassicurazione,
agita spettri di nemici per poter vendere identità e sicurezza. La sfida è
imparare a orientarsi nella giungla della civitas globale al di là delle
antinomie del potere, orientarsi positivamente.
“Nella società utilitarista la schiavitù delle masse
lavoratrici è la condizione stessa della relativa libertà dell’individuo
creatore. Se l’enorme potenziale creativo delle masse sarà un giorno
risvegliato e messo in atto, quello che oggi noi chiamiamo ‘arte’ perderà ogni
significato” (Constant). E’ quello che sta accadendo con la rivoluzione
digitale, in cui le masse improduttive sono occupate a “creare”, a
“esprimersi”, a dire la loro, immettendo contributi in Rete. Il consumatore e
il produttore sono oggi fusi nella figura teriomorfa del prosumer, i cui contributi vengono stoccati dai grandi server di
gestione dei dati e reimpiegati per estrarne profitto.
I sistuazionisti definivano vita ludica la forma di vita della loro auspicata New
Babylon, segnata da un continuo cambiamento di attività e relazioni: “la
creatività delle masse, una volta liberata, impedirà ogni modalità fissa di
comportamento. È nel cambiamento continuo del comportamento che si situa la
vita ludica che è la vita di New Babylon”.
New Babylon è qui, adesso. Berlino, odierna capitale
d’Europa, ne è il centro, “toy-city”, città ludica per antonomasia. I suoi
abitanti sono mobili, frammentati, prevedibilmente imprevedibili, vanno e
vengono, sono effimeri, sfuggenti, quasi impalpabili. I neobabilonesi sbiadiscono,
perdono corpo per identificarsi sempre più coi loro profili social, siti
internet, gallerie fotografiche; i confini della realtà fisica sfumano nella
virtualità. La vrai vie est absente:
la “vera vita” è assente, la “vera vita” è
“l’assenza”, e cioè l’esplosione della presenza, del qui e ora, negli infiniti
altrove della Rete.
Berlino è un luogo straordinariamente povero di stile e di ispirazione, dacché la grande maggioranza delle arti che vi si praticano ha la forma dell’intrattenimento. E non potrebbe essere altrimenti: come avevano previsto i situazionisti, a New Babylon non ha più senso l’esistenza di qualcosa come l’arte, col suo culto dell’individuo e dell’ispirazione, riservata a un’élite inoperosa, mantenuta e osannata dalla massa produttiva. Come dice Constant “l’arte non è che una forma storica della creatività”. Per questo alla base dell’arte contemporanea c’è un paradosso insanabile: con la realizzazione di New Babylon l’arte non ha più ragione di esistere.
L’arte è morta, lunga vita all’arte!
I centri nevralgici di New Babylon – come Berlino o la
Silicon Valley – sono luoghi di messa produzione dei cosiddetti “creativi”. I creativi sono ciò che
resta della creatività dopo che l’arte ha perso il suo ruolo storico. Sono
produttori di immagini (art directors) e narrazioni (copywriters), proprio come
gli ignoti pittori delle grotte di Lascaux e Altamira e i cantastorie che le
popolavano. Grafici e pubblicitari, esperti di comunicazione e organizzatori di
eventi, e cioè di “situazioni”: i creativi di oggi sono a tutti gli effetti situazionisti.
L’avanguardia storica del situazionismo era un prototipo
dell’élite creativa di New Babylon. Ce lo conferma nelle sue confessioni il
pubblicitario pentito Frédéric Beigbeder: La
società dello spettacolo di Debord non manca mai sul comodino di ogni buon
copywriter. È proprio vero, la storia si ripete sempre due volte, la prima
volta come tragedia, la seconda come farsa: Debord l’intellettualissimo, che si
definiva con sprezzo “dottore in nulla” è passato suo malgrado alla storia come
“dottore del nulla”, capofila e maestro dei venditori di fumo di tutto il
mondo.
Quella in cui viviamo non è la “civiltà della tecnica”, ma la “civiltà della comunicazione”, dello storytelling e dell’image-making. La tecnica – l’industria pesante, la manifattura, l’ingegneria – viene necessariamente dopo.
* * *
Negli stessi anni delle derive psicogeografiche e delle
utopie urbanistiche dei situazionisti, Foucault parlava di eterotopie, “luoghi altri
da sé”, spazi marginali, residui urbani dimenticati e resilienti, intimamente
anarchici, riottosi a farsi integrare nel sistema. Con buona pace, anche le sue
eterotopie sono state ingoiate nella realtà virtuale/virtualità reale dell’odierna
New Babylon: oggi ogni luogo è “altro”
rispetto a se stesso, moltiplicato all’infinito dalle possibilità di
comunicazione e accesso all’ informazione dei suoi abitanti.
Le nuove tavolette (tablet e smartphone) nella tasche dei neobabilonesi, come è nella natura di tutti i mezzi di comunicazione, permettono di estendere la loro presenza virtualmente all’infinito, e al contempo la amputano, rendendola impossibile. Ogni “dove” di New Babylon è attraversato da infiniti “altrove”, ogni suo luogo è un’eterotopia.
Il sogno mistico di Meister Eckhart di una sfera divina con centro ovunque e circonferenza in nessun luogo può sempre tramutarsi in un incubo, il now here perdersi nel no-where.
Per Constant l’ “alienazione” di cui parlava Marx era dovuta a una mancanza di comunicazione: “è la società attuale che ci obbliga a isolarci, che ci impone la solitudine per mancanza di comunicazione. Ora, la comunicazione è la prima condizione della creatività. Attualmente, lo spazio sociale degli individui è estremamente limitato, e senza rapporti con lo spazio reale. A New Babylon questi due concetti di spazio si riscoprono grazie al fluttuare della popolazione”.
Ancora una volta vediamo come il tempo in cui viviamo abbia realizzato punto per punto il suo programma rivoluzionario, sovvertendolo sistematicamente. Qualsiasi odeirno copywriter sottoscriverebbe che “la comunicazione è la prima condizione della creatività”: non solo il progetto situazionista è stato recuperato dal capitale, ma gli ha dettato letteralmente l’agenda, il lessico di Constant è quello della new economy. Quello che Costant non poteva vedere – avendo immaginato New Babylon come rete urbanistica senza sapere che sarebbe stata realizzata come rete virtuale – è che le nuove forme dell’alienazione sarebbero state il prodotto paradossale dell’ipercomunicazione.
Le “situazioni” dell’odierna New Babylon, infatti, avvengono sempre più in forma privata, in solitudine.
Le nuove frontiere dell’università sono online, lo shopping è online, la banca
è home banking, la posta è online, la spesa al supermercato è online, le arti e
i mestieri si apprendono online con un tutorial di youtube. Questo genera
immense opportunità di conoscenza e libera una grande quantità di tempo, ma per
cosa? A New Babylon tutto è, potenzialmente, virtuale, la vita come la morte.
All’International House di Chicago uno studente è stato
trovato morto nella sua stanza, il cadavere era lì da due settimane. Aveva
oltre 2000 amici su facebook.
* * *
New Babylon sono infiniti mondi altri in questo vecchio mondo in cui viviamo. Gli uomini sacrificano intere esistenze inseguendo sogni che non hanno mai sognato, sogni di benessere, sogni di gloria, sogni di redenzione. Il lavoro del pensiero, oggi come sempre, non è sulla realtà ma sui sogni, sulla teoria, non sulla pratica. Perché quando si arriva alla pratica è già troppo tardi.
bellissimo il libro "futurismo paleolitico". specchio perfetto per chi ci si riconosce. ma un libro così profondo avrebbe meritato una forma tipografica adeguata, aspetto che ne rovina un po' l’esperienza.
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