Altre tauropatie






































Altre tauropatie
di Matteo Meschiari


Un torero era molto ontologico. Per lui la hora de verdad era il cosmo che rientrava in asse. Quando si vide come in un film al rallentatore con l'intestino viola tra le mani dopo una cornata particolarmente macellaia, pensò con tranquillità e orrore che la vita è un cane vorace che torna ciecamente al proprio vomito.


 

Un torero apparve alla Madonna. La Madonna quasi si innamorò di lui ma poi si ricordò di sé stessa e disse: «Figlio mio, che cosa posso fare per te?».  Il torero rispose: «Non molto. Ma la prossima volta che t’inginocchi sotto la mia croce, ti prego, fallo per me, non piangere».



Un torero amava i gatti. Ovunque andava portava Manolito con sé, chiuso in una gabbia dorata con un grosso cuscino rosso ricavato da una muleta. Un giorno il gatto morì e il torero toreò così così, come aveva sempre fatto.



Uno scrittore pubblicò un libro sulla corrida. Fece qualche presentazione, qualcuno scrisse una recensione, qualche copia fu venduta nelle librerie. Nel frattempo vennero toreati circa mille tori, e ciascuno di essi nell’arena scrisse un libro di vene, di tendini e cielo.



In un bar di aficionados si serviva birra e rabo de toro. Finalmente, dopo qualche ora, quando si cominciavano a servire bicchieri di toro e rabo di birra, le tertulias diventavano interessanti.



Un antropologo di una qualche università totalizzò molti anni di ricerca sul campo. Vide più di 100 corride e assistette alla morte di più di 600 tori. Parlò con toreri, ganaderos e aficionados e alla fine di tutto non scrisse proprio nulla di interessante sulla corrida. In compenso pubblicò molte cose straordinarie sulle feste di paese, che gli valsero un avanzamento di carriera.



Un torero beveva troppo. Il suo ultimo toro si chiamava Higado. Lo uccise con una stoccata fulminate e lo dedicò alla Virgen de las Agallas.



Un torero non parlava mai. Incitava il toro pestando il piede e con un verso che sembrava uscire dall’animale, come il sospiro dal pupazzo di un ventriloquo. Quando morì vecchio e dimenticato, il torero rifiutò il prete e mandò a chiamare un suo antico banderillero. Gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e spirò.



Un torero amava le donne. Le amava così tanto che per anni trascurò la professione e il pubblico lo dimenticò. Ma era sempre un torero, e quando si ravvide organizzò il suo ritorno nell’arena del paese natale. La sera prima della spettacolare corrida si schiantò con la macchina contro un ulivo centenario, mentre filava a tavoletta da una nuova amante che forse, dicono, si chiamava Maria.



Un novillero amava il canto, la luna e gli uomini belli. Smise di toreare perché a vedere i suoi amanti che piangevano su di lui la prima volta che fu seriamente incornato, si commosse a tal punto che decise di cambiare professione e, con rammarico, anche il vestito.



Un aficionado non capiva come gli altri aficionados potessero amare la corrida e al tempo stesso apprezzare uno sport così volgare come il calcio. «Guarda tua moglie, ad esempio», disse uno di loro.



Un toro non aveva paura. Caricava a testa bassa, correva come se dovesse saltare un precipizio, dopo un passaggio si voltava svelto e pericoloso come una trappola per topi. Sfortunatamente non gli servì un granché. Il torero che lo toreava era un puro vigliacco e lo uccise malamente senza rispetto.



Un giornalista scriveva tutto quello che gli impresari delle arene gli dicevano di scrivere. Un giorno scoprì sua moglie a letto con uno di loro. Stava per insultarla e prenderla a schiaffi quando lei lo anticipò e gli disse «sei una volgare puttana». Lui tacque, andò nello studio, fumò una sigaretta e si sparò.



Un giorno un torero fece una corrida memorabile. Non aveva mai amato i giornalisti e il mundillo e qualcuno decise di fargliela pagare. In cronaca nazionale si scrisse che la corrida era stata modesta. Il torero toreò la corrida seguente con la stessa maestria. E fu felice. 


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