Memorie della biosfera
Memorie della biosfera
di Matteo Meschiari
sono
il muscolo delle correnti che avvolge l’osso di un atollo sotto raffiche di
luce piatta e che fermenta nella laguna tra anelli di azzurri sempre più
pallidi e coralli che ronzano in silenzio volume dopo volume mentre la manta
preme i fondali e lo squalo sospinge la propria ombra dove la fame è più blu e
il riflesso delle nubi si fa lento
sono
il verde roccioso della costa quando l’orlo del mare si spezza e turba e scopre
le vertebre dell’entroterra tra sentieri di schiuma che si ritira e licheni
incrostati agli scogli in un giallo che si scorge da largo dove una nuova onda
si carica appena per rotolare vena dopo vena verso cumuli di ciottoli e colonie
di alghe in movimento
sono
l’ultimo soffio salmastro a evaporare nelle distese d’erba su praterie che
sotto cieli vuoti ripetono da ere turbini e correnti e vene verdi e curve come
il sonno di antichi animali che l’argilla ha modellato nella sabbia e ha poi
dimenticato in spazi troppo vasti per tutto tranne l’erba che attende e non sa
che un ultimo soffio sia spento
sono
collina dopo collina l’incoscienza corrugata del continente dove terre di luce
trascorrono in un oceano d’ombre e si incontrano e si coprono lungo i pendii e
poi si staccano lungo i rilievi meno aspri per scivolare altrove su una cima e
fino al fondo delle forme verdi che legano praterie a montagne in un ordine
vuoto di vento
sono
con i pesci d’acqua dolce l’istinto irriflesso del fiume che piega dove la
crosta è dura e toglie alle rive ciò che è molle intorbidando tutto quello che
non sente dall’inizio di sorgente alla foce dove come braci vegliano gli aironi
e dopo molti spazi di terra attraversati in molte forme e in molti suoni dal
movimento di un unico elemento
sono
epica delle sequoie e prosa di faggi profondi che azzurrano nelle cortecce
quando la sera scivola dai rami tra le foglie e cova immobile un umore viola
negli alveoli del bosco fino a una nuova alba che si gonfia blu in ogni parte
dell’albero e recupera ogni sillaba verde per opporre allo svanire delle cose
uno svanire più lento
sono
l’acqua del lago che riflette l’agitarsi del bosco i brividi di brughiera la
pietraia e verso il centro scuro la scheggia di una cima mentre tra scheletri
di alberi caduti dormono trote senza tempo e la luce quasi nera ricorda
l’interrarsi del bacino che porterà i prati nelle acque e terreni umidi e sodi
dove un tempo c’era un altro movimento
sono
il suono di ogni suono che sostiene il respiro della brughiera stelo dopo stelo
nelle isole di rododendro negli scogli del ginepro nelle correnti rapide
dell’erica nell’erba elementare come una prima vocale che schiuma e si arena
contro le masse di mirtilli e ignora la storia del grande polmone di sterpi che
sotto il ghiacciaio si è spento
sono
campi di pietre e morene e pietrisco di frane in un disordine che ha la sua
ragione nel pulsare del gelo e nella luce che scalda il midollo delle montagne
dai primi strati di sabbie all’arrivo dei ghiacci e molto dopo la neve quando
su strane erbe resistenti e piante rattrappite e fiori colore di roccia si è
allungata la rapida del vento
sono
la terra che attraverso l’uomo prende coscienza di sé e come soffio sull’ultima
cima sa che l’azzurro del lago è il mare che il mare è il grigio della pietra
che la pietra e il ghiaccio sono uno che il fiume del bosco è l’atollo della
brughiera e che per quanto le dieci dita di una mano siano cinque quello che
resta è un unico elemento
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