Physeter macrocephalus (estinto)


 

Physeter macrocephalus (estinto) 
di Matteo Meschiari 

Non c’è profeta nella lunga storia della terra
a cui questo momento non renda giustizia.
Cormac McCarthy

In un anno qualunque del Tardo Occidente, sette capodogli arrivarono a una spiaggia e morirono. Gli uomini che li osservarono conclusero che erano morti di fame. I loro stomaci erano pieni di plastica nera, corde e scatole di latta. Due dei sette erano sani, ma avevano seguito gli altri per restare uniti. Le carcasse furono seppellite a terra. Chi un giorno le studierà non si troverà di fronte a un enorme mistero. La terra sarà mutata a tal punto che la storia dei capodogli spiaggiati sarà solo un altro minimo frammento nell’archeologia della memoria.


Una volta nei torrenti del mare c’erano i capodogli. 
Li potevi vedere immobili nell’acqua ambrata
con segni e cicatrici sulle pinne e riflessi blu
a ondeggiare piano nei campi delle correnti.

Per stagioni senza tempo erano stati meraviglie
non viste, impegnati a spremere la specie
per generazioni, avanti, nell’oceano dei giorni.
I popoli sulle rive li avvistavano come nuvole basse
tra le distese salate, o spiaggiati, lungo la rena
come grandi dimore di carne nel vortice dei gabbiani.
Prima di entrare nella bocca entravano nei racconti
buoni da rimangiare e ripensare, sopra piccoli fuochi.
Invece i marinai li vedevano come isole fluttuanti
emerse con l’inganno, nemici ancestrali dell’uomo
venuti dal buio, dall’inferno del mare.
Per paura. Poi li avevano cercati.

Li prendevi con arpioni e lance, e quando li aprivi
odoravano di muschio. I loro denti erano buoni
da scolpire e il loro olio illuminava le tavole o
consacrava i re. Erano lucenti e forti, neri e rissosi
e si torcevano su se stessi come tempeste marine.
Quando sfiatavano rosa, voltolati nel lago del sangue
otevi guardarli da vicino come una cosa qualunque.
Sul dorso avevano disegni linee tortuose punti
che erano mappe del mondo in divenire. Mappe
e labirinti, che l’uomo non sapeva disleggere.
Dicevano di spazi e di tempi che andavano finendo
di mondi e dimore che non possiamo aggiustare.

Una volta tra i monti del mare c’erano i capodogli.
Una volta c’era il tempo. Una volta c’era il mare.
Quando l’acqua era viva e le bestie la abitavano
i pensieri dell’uomo erano molti, nuotavano idee
sui fondali della mente, saltavano nel sole oltre
la superficie del tempo, migravano in mari impensati.
Invece, nelle forre dove vivevano i capodogli
ogni cosa era più antica dell’uomo
e vibrava di silenzio.

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