Resistere immaginare abitare



Resistere immaginare abitare
di Matteo Meschiari


Essere nella città significa essere con la città, essere in una comunità di spazi che, nelle trame urbane contemporanee, sono tutto tranne che spazi comuni e realmente condivisi. Esistono delle porzioni di città in cui davvero ci si mette in rapporto con qualcosa, con qualcuno?

Ovviamente non le piazze, i musei, i ristoranti, perché non si tratta di trovare o propiziare luoghi in cui far accadere incontro e intersoggettività. Si tratta, cosa molto più importante, di individuare delle aree in cui il soggetto può arrivare a soggettivarsi con lo spazio, si tratta di abitare in modo nomadico dei microdeserti in cui l’uomo possa darsi nella città negando la città. L’ontogenesi della città e quella di colui e colei che la abitano non coincide mai con gli esiti della progettazione urbana o con la regolamentazione normativa dello spazio. Al contrario, l’accadere dell’uomo nello spazio si rivela nelle smagliature, nelle discrepanze, nella resilienza dello spazio alla messa in forma spaziale.  Esistono queste sacche? Come funzionano? Guardiamo gli spazi di non-uso, gli spazi inutili, sfuggiti a sistemazioni autoritarie o autarchiche, gli spazi che stanno lì senza far niente, come interstizi non utilizzati, non agibili, non riciclabili. Sono la cellula staminale dello spazio prima di ogni possibile determinazione, masse mancanti il cui vuoto è creazione per sottrazione del soggetto. In altre parole, sono parti di città che non sono ancora o non sono più la città, parti in cui l’uomo stabilisce un rapporto con l’assente. Se l’immagine è la presenza di qualcosa nella sua assenza (J.L. Nancy), questi spazi sono immagini della città senza la città, sono spazi dove la città diventa immaginabile al di là di se stessa, dove è dato immaginare la città e la non-città come momenti simultanei dell’abitare. In che modo, se non nel rapporto, uno spazio può essere definito? In che modo se non nell’interruzione del rapporto lo spazio diventa abitabile? Ma il rapporto non è quello tra le case, tra le case e le strade, tra le strade e le piazze. Non è così che la città viene al mondo. La città non è fatta di cose in relazione, ma di relazioni in cui le cose sono meno importanti del loro appartenere a qualcuno. Oggi la proprietà e l’avere non sono più commisurabili all’infinito. Esiste, nelle città, qualcosa che non appartiene a nessuno se non alle stelle? Dove sono queste stelle nella città che viviamo ogni giorno? Per resistere occorre trovare questa bellezza assente, siderale, che nessun giardinaggio, se non quello delle menti immaginanti, può evocare.


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