La barba breve


La barba breve
di Matteo Meschiari


Nel 2014 sono arrivate le barbe. Da sporadiche ed esotiche negli anni precedenti a segnatura identitaria dell’uomo contemporaneo. Barba e computer, barba e SUV, barba e tavolo aziendale, barba e passerella fashion. Prima una barba corta e curata, com’è concessa da sempre ai dottori (la rassicurante barba ippocratica distintiva dell’uomo di scienza), poi sempre più lunga, più folta, fino a misure vertiginosamente talebane.

La risposta del Tardo Occidente all’imam e al maschio di Vikings è ovviamente una moda, ma una moda iniziata come esotismo attecchisce sempre per ragioni domestiche. Quindi la maschera-barba come identità in transito, come body-app per acquisire saggezza da giovani, come etnizzazione supplementare al piercing e al tattoo, come guy pride? Probabilmente no.

A ben vedere la barba 2014 è arrivata proprio all’uomo medio che non aveva bisogno di queste cose. È cresciuta al padre-impiegato con lo stipendio a tre zeri, al figlio di papà con la fabbrichetta in caldo, al trapper urbano automunito, al maker che lavora il legno e che si legge Nietzsche. Una barba trasversale, dal povero al ricco, dal democratico al liberale, ma soprattutto una barba neo-borghese per chi si accontenta di un’identità ereditata, socialmente sancita, confortevolmente in primo grado.

Solo un’appendice, quindi? Solo un pezzo da indossare? Oppure è la pelurie eversiva di una tattica di resistenza dal basso, che invade i piani alti e ci ricorda che nel Giardino-prigione gira sempre un Serpente-grimaldello? No. La barba 2014 è un landmark, è un “non-oltre” subliminale, ci sussurra: ecco, fino a qui sì, oltre siete fuori.


Torniamo al SUV. Per un certo periodo lo stile delle pubblicità di automobili ha puntato sul paesaggio, non tanto per vendere automobili o illusioni di esperienze selvatiche, ma per vendere “macchine nel paesaggio”, un win-win in cui tecnologia inquinante e ambiente intatto andavano a braccetto.

Questo per un po’. Poi il trend linguistico dei pubblicitari più attenti ha ridotto il paesaggio, e non perché chi ha 30.000 euro da spendere in una macchina si è accorto della contraddizione, ma perché la Wilderness 2.0 si è smaterializzata come una merce qualunque. Lasciando un residuo: la barba.

Metonimia del selvatico, incorporazione del fuori, la barba 2014 è la Bestia perfettamente addomesticata, è il massimo di eversione concesso. Ma concesso da chi? Il Grande Fratello ha la barba? Il Grande Fratello non esiste. Esistono solo sogni, desideri, nostalgie.

La barba irsuta di Enkidu si perde e diventa la barba del suo doppio urbano: la barba di Gilgamesh, ordinata in trecce, profumata d’olio, inanellata d’oro, è sineddoche di regalità, è spazio striato, sono i campi arati di orzo e petrolio. Ma Gilgamesh ha nostalgia del suo amico paleolitico, delle antilopi tra le dune, della foresta di cedri e, seduto sul trono, ricorda i vecchi tempi così. Carezzandosi la barba.


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