La mezzaluna fertile
La mezzaluna fertile
di Francesco Gori
Il nostro tempo sta per finire. Un ciclo si sta chiudendo. La fine del
mondo? La si chiami come si vuole, il mondo finisce ogni sera, prima di andare
a letto e ricomincia al mattino.
La mezzaluna fertile è la culla della nostra civiltà, il tempo e il
luogo da cui proviene la nostra cultura. È là che ebbe luogo la rivoluzione
neolitica, l’unica autentica rivoluzione all’origine della nostra tradizione,
rispetto alla quale ogni successivo sviluppo della storia non è che una nota a
piè di pagina. Lo è l’Egitto, lo sono i Fenici, lo è la civiltà Minoica, lo è
la Grecia, lo è Roma, lo sono gli stati-nazione, lo sono gli Stati Uniti. La
mezzaluna fertile è l’Occidente, dai Sumeri agli Egizi, passando per la Siria,
la Giordania e Israele-Palestina.
La mezzaluna fertile è il luogo da dove tutto proviene, dove gli
uomini hanno smesso di vagare per le boscaglie e per i deserti per stanziarsi,
cominciare a coltivare la terra, e quindi sviluppare gli insediamenti urbani,
le città, i palazzi, le opere di ingegneria, scrivere, dedicarsi alle attività
di ozio, sviluppare la cultura.
La mezzaluna fertile, però, non è il luogo da cui proviene l’uomo, ma
il luogo da cui proviene la civiltà, la cultura, nata con l’agri-cultura.
L’uomo viene dalla caccia e dalla raccolta. Dalla selva, dal
nomadismo. Così è stato per milioni di anni.
L’agri-cultura è una parentesi di passaggio nella storia dell’umanità,
e oggi è in crisi, sta declinando, sta svanendo.
Lo vediamo nelle nostre vite: sempre meno, oggi è possibile, e ha
senso, essere sedentari. Gli uomini del futuro sono nomadi. Gli uomini del
presente sono semi-nomadi, o meglio semi-stanziali, sono parzialmente,
frammentariamente insediati.
Gli uomini del presente continuano a perpetrare l’inurbamento per
inerzia storica, ma le città, ormai, hanno invertito la loro polarità, e sono
tornate a essere poste di cavalli, luoghi di frontiera, stazioni, aeroporti,
luoghi di passaggio e sosta breve, nonluoghi di insediamento duraturo. Le città
si sbriciolano, non nei muri e nei mattoni, ma nelle viscere, nelle carni e
nell’anima. Le città sono un sogno del passato, le città sono città invisibili.
La crisi della civiltà può essere tracciata a livello geo-politico. È
in corso una guerra mondiale, una guerra di civiltà che non ha niente a che
vedere con lo scontro tra civiltà, una guerra civile-mondiale, come la
definisce Schmitt, la guerra interna alla civiltà agraria che viene dalla
mezzaluna fertile.
E dov’è il teatro di questa guerra? Come non accorgersene? Nella
mezzaluna fertile, naturalmente: Iraq, Siria, Giordania, Israele-Palestina,
Egitto. Troppo evidente per essere notato, come la lettera rubata di Poe.
La mezzaluna fertile è il luogo in cui si sta consumando la guerra
civile mondiale, la guerra interna alla civiltà, e cioè alla agri-cultura,
divenuta mondiale.
Il nomos della terra non può
fare a meno dell’antinomia della terra: Guerra | Pace, Diritto | Eccezione,
Spazio | Antispazio, Amico | Nemico, Israele | Palestina.
Il luogo simbolico della guerra civile mondiale è Gerusalemme, e la
sua guerra civile ricapitola in vitro la guerra civile interna alle religioni
del Libro.
Il libro è il sublime oggetto della cultura e, come tale, dell’agri-cultura.
Le religioni del libro, il monoteismo, sono religioni dell’agri-cultura. Come
ha mostrato Paul Shepard, il mito della dea madre non è che l’antispazio del
mito del dio padre.
Sono molti i segni che il ciclo si sta chiudendo: 1 La guerra nella
mezzaluna fertile 2 Il progressivo riaffermarsi del nomadismo 3 Il ritorno
delle tavolette, da quelle dei sumeri ai tablet odierni 4 la trasformazione
estrema del surplus agrario in virtualità finanziaria, la smaterializzazione
definitiva della ricchezza.
Il ciclo si sta chiudendo, stiamo tornado ai Sumeri. Sono i Sumeri il
prossimo stadio, l’ultimo, prima della grande catastrofe e del ritorno della
Wilderness sulla Terra. Il Pleistocene è il nostro destino, cacciatori nomadi
saranno i nostri pronipoti. Liberi. Ma bisogna aspettare.
Il nostro presente, lo stadio attuale dell’anaciclosi storica è
Babilonia. Se si vuole apprendere qualcosa sulla struttura del nostro tempo
bisogna studiare con attenzione la storia e la cultura di Babilonia. Sta tutto
scritto in Gurdjieff, lo racconta Belzebù a suo nipote.
La globalizzazione è la torre di Babele, in cui si parlano tutte le
lingue e non ci si capisce più. New Babylon è il nostro presente, lo aveva già
visto Constant. Constant era un situazionista e New Babylon la città utopica
del situazionismo, una città nomade. Interessante, parzialmente corretto, ma
spreciso, in quanto inconsapevole dell’anaciclosi.
L’errore di Constant è già nel nome stesso: New Babylon. New Babylon è
il nome della città del presente, non dell’utopia cinegetica dei suoi
meravigliosi progetti architettonici. Constant è artista geniale e grandioso
visionario, ma pensatore mediocre, grossolano: confonde la diagnosi (New
Babyolon) con la prognosi (la città nomade, cinegetica).
Per rendere progetto concreto la visione di Constant bisogna inserirla
correttamente nell’anaciclosi, il ciclo naturale della civiltà. E correggere il
vocabolario situazionista, intriso di pessimismo ultraintellettuale marxista
anni ’60 e di cretinismo anti-intellettualista di riflesso: il lessico del
situazionismo, il suo spazio semantico (l’apocalittica marxista) assieme col
suo antispazio (la situazione, la gag, dada, il punk, l’homo ludens), sono da rigettare; ciò che si salva, invece, è la
visione:
La società dell’avvenire è una società nomadica di cacciatori
raccoglitori. Il nostro futuro anteriore è il Pleistocene.
Il futuro è ciò che accadrà domani, conseguenza di ciò che è oggi,
svolgendone le premesse. Il futuro anteriore, invece, l’eterno ritorno, è il
tempo a-venire. Nell’I Ching è
riposta questa saggezza.
Babilonia si dovrà espandere, e integrare, fino a che parleremo tutti
anche il cinese, affinché l’I Ching
possa cominciare a rilasciare la sua verità. Fino a quel momento resterà una
curiosità, un esotico libro-game e resterà celata la sua autentica natura di
manuale di divinazione.
La divinazione è l’unica vera conoscenza. L’I Ching ne è portatore, la teoria polibiana, machiavellica e
spengleriana dell’anaciclosi ne sono portatrici, la mnemotecnica bruniana ne è
la gnosi profonda, la psicostoria di Hari Seldon ne è la scienza prossima
ventura. Il metodo della divinazione è la morfologia: divinatore non è il
profeta, ma il conoscitore delle forme.
[Su Bruno]: la Chiesa è il Katechon che tiene nascosta la prisca sophia per il bene dell’umanità.
Non può rivelare il mysterium iniquitatis
prima del tempo. Bruno fu un moderno prometeo, un tracotante. Voleva donare il
fuoco agli uomini e fu punito. Non potendolo incatenare alla rupe del Caucaso,
la Chiesa non poté far altro che metterlo al rogo.
[Sulla Psicostoria e Big Data]: La psicostoria non è
fantascienza, ma una tecnica concreta di divinazione che sta venendo messa a
punto dagli informatici contemporanei: è questo l’insieme di tecnologie basate
sui cosiddetti Big Data. I Big Data stanno sbaragliando la sociologia ed è
giusto che sia così. La sociologia qualitativa è fuffa. Non esiste scienza
qualitativa, tutt’al più esiste la scrittura, l’infinito artigianato dello
scrivere, risciacquare con pazienza, nel mare della propria anima, la battigia
della pagina.
La vera sociologia, l’unica da prendere in considerazione, è quella
dei Big Data. Quello che ancora manca al nostro orizzonte, non è la tecnica, ma
il suo interprete visionario: Hari Seldon. Quando arriverà, e nessuno di noi
può esserlo, il tempo sarà pronto per la nuova fondazione. Quel tempo sta
arrivando, la storia sta per produrre un nuovo uomo fatale. Marx lo è e stato
in parte. Il valore anaciclico del materialismo dialettico risiede nel fatto
che esso è una mantica, una tecnica di divinazione. Il limite storico di Marx,
però, su cui non poteva farci niente, è che egli era un letterato. Come dice
Spengler, l’uomo fatale dovrà essere un matematico. Come Hari Seldon. Se il
materialismo dialettico fosse combinato con le tecniche dei Big Data, allora,
forse, potrebbe cominciare a dar forma a una mnemotecnica, a una tecnica di
divinazione efficace e non meramente ideologica, come la psicostoria.
Il materialismo dialettico è una mantica a metà perché favoleggia di
un mondo a venire che non è questo, lo fa sulla base di elementi storici
concreti, ma in ultima istanza lo realizza sulla base della forza della parola.
La mantica, per diventare una tecnica effettiva, deve realizzarsi
matematicamente: non deve parlare di
un desiderabile mondo a venire, in cui le contraddizioni saranno superate, ma calcolare con precisione necessitante il
mondo che verrà, bello o brutto che sia, con i suoi conflitti e la sue
contraddizioni.
Il lavoro di Spengler, l’I Ching
o la mnemotecnica bruniana sono tecniche di divinazione in senso più proprio,
perché calcolano l’avvenire sulla base dei dati del presente. È esattamente
questo il procedimento dei Big Data, che, quando verranno impugnati da una
mente galattica come quella di Hari Seldon, saranno trasformati nell’autentica
scienza delle scienze, la psicostoria, la conoscenza matematica
dell’anaciclosi, la previsione del futuro.
Anche il mondo ‘libero’ dei nomadi neocinegetici sarà un mondo intriso
di conflitti e contraddizioni: non esistono mondi irenici, il mondo è guerra,
per definizione.
La pseudo pacificazione della democrazia globale di Babele ha
mortificato la nostra natura guerriera, privandoci del diritto alla guerra (e
quindi della possibilità della pace). In questo senso, e in questo soltanto, è
un’epoca di decadenza, ma solo perché è la chiusura di un ciclo, il termine del
Kali Yuga, del quarto mondo Hopi. In sé,
non a niente di sbagliato, di marcio, di indesiderabile: è la sua natura, il
suo destino anaciclico a essere decadente, e cioè discendente, terminale. Come
la vecchiaia che prelude alla morte e alla reincarnazione. Come lo sbiadire
della notte nella luce lattiginosa che prelude all’alba. Come un albero che
perde le foglie durante l’inverno.
La nostra epoca, New Babylon, non è “errore”, ma erranza sull’eclittica del tempo, che ritorna innalzandosi,
descrivendo a ogni ritorno l’ansa di una spirale (vedi il concetto di vortice
nella poetica di Blake): l’anaciclosi non è la rivoluzione di una ruota su un
piano bidimensionale, lineare, euclideo, ma un vortice, l’avvolgimento di un
nastro in uno spazio sferico, riemaniano, che descrive una spirale, ed evolve
progressivamente a ogni ritorno.
Le galassie sono spirali, vortici, che ruotano attorno a un buco nero,
in cui vengono lentamente risucchiate: ma cosa c’è nell’antispazio “al di là”
del buco nero? Forse l’esatto converso, delle spirali che si accrescono,
progressive, che emanano dal buco nero, come il sacro Tzimtzum nella cabala
[Scholem], la creazione del mondo per ritrazione, in cui Dio si contrae fino a
un punto infinitesimo da cui si origina lo spazio in cui ogni cosa può venire
in essere: Le due facce della spirale
[Asimov]. Già Dante lo sapeva: la spirale regressiva dell’Inferno che, nel suo
lato convesso del Purgatorio, è una spirale progressiva.
* * *
Questo per quanto riguarda il futuro anteriore.
Nella ruota (/spirale/vortice) della storia, che sta completando
adesso il giro del suo ritorno, il prossimo stadio sono i Sumeri: i Sumeri
verranno dopo, l’ultimo stadio prima della grande catastrofe, la fine del
quarto mondo degli Hopi, il termine del Kali Juga. A seguito della grande
catastrofe, la terra tornerà alla terra, le tracce dell’uomo per lo più
cancellate, resteranno in pochi, saranno nomadi, tornerà il Pleistocene.
Tutto ciò però, non ci riguarda storicamente (: noi non lo vivremo,
sarà il mondo dei nostri pronipoti), ma spiritualmente (: dobbiamo cominciare a
preparare dentro di noi quel mondo ed educare i nostri figli affinché educhino
i loro figli e preparino i pronipoti alla vita nomade).
Il nostro presente è Nuova Babilonia. La nostra lingua, la glossolalia
della torre di Babele.
Berlino è un buon candidato per essere Nuova Babilonia. La lingua che
vi si parla è un misto di tutte le lingue del mondo. Una lingua che può dire
tutto e non dice nulla. Berlino capitale del nulla, in cui la cultura non si
produce ma si mette in scena.
Berlino, dunque, è un buon posto dove stare se si vuole capire
Babilonia. Di più: probabilmente è il
posto dove stare, the place to be,
come recita lo spot del suo sindaco. Che ci piaccia o no. Perché ha tutte le
caratteristiche di Babilonia. New York, Londra, Parigi, Tokio non hanno queste
caratteristiche.
Benjamin ha scritto il grande libro mai finito su Parigi Capitale del
XIX secolo. Koolhaas (allievo eretico dell’eretico Constant) il libro geniale
su New York capitale del XX secolo. Manca il libro sulla capitale del XXI
secolo, e quella città è Berlino. Ma non ci si inganni. Berlino non raccoglie
il testimone simbolico dei suoi due predecessori: piuttosto, è il luogo in cui
questo testimone cade. Berlino non è Atene, non è Alessandria, non è Roma, non
è Firenze o Venezia, come lo sono state Parigi e New York. Diversamente da
esse, infatti, non è un luogo dove può formarsi uno stile.
Berlino è Babilonia, il luogo dove lo stile va a morire, dove tutto è
spettacolo. Ed è necessario che sia così. Prendere a sangue freddo questa
osservazione: non è decadenza da lamentare, è decadimento inevitabile, come un
sasso lanciato in aria, a un certo punto, comincia la sua discesa.
La parabola ascendente comporta la formazione di nuovi stili, la
traiettoria discendente la citazione, l’interpolazione e l’eclettismo tra
vecchi stili. Babilonia non è un luogo dove si formano nuovi stili, ma in cui
convergono tutti i vecchi stili, diluendosi l’uno nell’altro, fino a
deflagrare.
Berlino/Babilonia è il luogo della deflagrazione. Poi verranno i
Sumeri. Ma intanto, da parte nostra, dobbiamo farci trovare preparati,
coltivare segretamente l’avvenire, addestrarci ad addestrare i nostri figli ad
addestrare i nostri pronipoti al nomadismo.
Il nostro compito storico (e cioè anaciclico) si scinderà
necessariamente in due:
1) Vita contemplativa: osservare semplicemente
Babilonia, senza giudizio e senza lamentela. Babilonia è e non potrebbe non
essere altrimenti, è necessaria. Berlino è necessaria. Osservare la necessità e
leggervi i segni dell’eterno ritorno per poter prevedere ciò che verrà.
Contemplazione = Divinazione. Studio delle antiche religioni.
2) Vita activa: coltivazione dei frammenti
dell’antica saggezza. Addestramento al nomadismo e prima ancora alla
glossolalia babelica. Apprendimento delle tecniche di divinazione, delle
mnemotecniche, meditazione, yoga, corsa, danza, arrampicata, caccia: ogni
possibile forma di addestramento degli istinti. Il sapere dell’avvenire è
sapere degli istinti, coscienza, consapevolezza del corpo. Coltivarla in
segreto, per gioco, in maniera apparentemente aprogrammatica.
L’antica conoscenza degli istinti è stata riposta in arcana. Conoscere
gli arcana, senza rivelarli, è il nostro compito attivo. Non rivelare significa
non volgarizzare, non commercializzare, ma non “non divulgare”. Comunicare gli
arcana a un maggior numero possibile di persone, ma per via diretta, da
individuo a individuo, oralmente, nel gesto, nella presenza. La scrittura non
può comunicare gli arcana. La scrittura registra le osservazioni che facciamo a
Babilonia, le ordina, le classifica, ma non ci dà accesso agli arcana. La
scrittura ci fornisce però le chiavi per la divinazione, disponendo nel cosmo
della pagina i segni dell’anaciclosi. La scrittura è la premessa necessaria per
la divinazione. Come tale, è un elemento fondamentale dell’addestramento, che
verrà abbandonato solo al momento giusto, quando non sarà più necessario, come
le rotelline dalla bici di un bambino. Ma noi questo non lo vivremo. Per quanto
ci riguarda, la scrittura sarà ancora tra i nostri doveri.
La scrittura può condurre sulla cresta da cui si contemplano gli
arcana, ma non li realizza. Gli arcana si vivono, non si scrivono. La verità
non è una conoscenza, un’informazione, la verità non si può scrivere, ma si
danza. Essere la verità, questo è
l’insegnamento da consegnare ai nostri figli perché lo tramandino ai nostri
pronipoti.
Sono stati i Babilonesi a nascondere l’antica saggezza, la prisca sophia, in apparenti errori
disseminati nelle tecniche artistiche. Perché lo abbiano fatto, cosa
minacciasse la sapienza, perché è stato necessario fare dell’arché un arcano, non ci è dato saperlo.
La Fondazione di Asimov, l’istituzione segreta in cui si conserva
l’antica conoscenza, divisa in due sedi che ignorano l’esistenza l’una
dell’altra, situate ai due poli estremi dell’universo, esiste qui sulla terra
già da tempo immemorabile. Il sapere c’è, ma è nascosto nella trama degli
“errori” delle arti (Gurdjieff).
Di questi “errori” abbiamo perso il codice, non sappiamo più
decifrarli. Ma sappiamo che ci sono. La Fondazione esiste. L’unica arte che
permette ancora un accesso è la danza. Nelle danze sacre è ancora aperto uno
spiraglio dell’antica conoscenza.
Eppure, sotto la scorza della Culture ha sempre battuto il cuore
sciamanico della Hunture.
Ne è prova la scena in cui si svolge il Poema di Parmenide: tutto lascia pensare a un rituale sciamanico di
iniziazione, proveniente da tempi antichissimi, antecedenti alla scrittura e
all’agri-cultura.
L’ontologia è inquietata fin dal principio dalla segnatura, dalla
polarità, dal conflitto.
La segnatura è la segnatura sciamanica, il sapere dei sensi, il
sentire sul filo della lingua il sapore del mondo, il passare la mano sulla
tessitura delle rocce.
Non vi è spazio senza antispazio, non vi è civiltà senza selva, Apollo
non esiste senza Dioniso. Ma noi Dioniso l’abbiamo crocifisso.
L’immagine dialettica del nostro tempo è Dioniso Crocifisso.
La guerra civile mondiale è la crocifissione di Dioniso.
Quando il ciclo sarà concluso, Dioniso scenderà dalla croce e tornerà
a danzare, e sarà il tempo dei nostri pronipoti neo-cinegetici.
Dioniso-Shiva Nataraja (Danieleu, Shiva-Dioniso):
il sapere primordiale della danza è quello che più di tutti è stato
dimenticato, ma è in esso che sono state celate le più antiche verità.
È nella danza che si cela la segnatura primordiale. Vale a dire, è nel
nostro stesso corpo: l’origine siamo noi, è qui, è il tuo corpo che hai
dimenticato su quella poltrona. Gesù dice a Lazzaro: “alzati e cammina
(lazzarone)!”
La civiltà, l’agri-cultura, è una società di lazzaroni, di dormienti,
di macchine.
È questo il primo insegnamento di Gurdjieff, il maestro di danza. Come
risvegliarsi? Come destarsi un’illuminazione mondana? La quarta via non è una
conoscenza intellettuale, “spirituale”, ma una tecnica per il risveglio del
corpo, dei sensi, dell’istinto, un tentativo di schiodare Dioniso dalla croce.
Un insegnamento sconosciuto, ma che concorda punto per punto con altre
tradizioni. Tra cui il Tramonto di
Spengler. Il problema di Spengler, però, è che ha visto solo la crocifissione
ma non il crocifisso: non si è accorto che a essere in croce era Dioniso. Non
gli interessava il risveglio, la vita, la danza, ma solo la potenza distopica
del suo grandioso affresco intellettuale.
Hybris prometeica: voler dominare intellettualmente il mondo,
prevedendone la catastrofe, spiegandone le cause, comprendendone le ragioni,
dimostrandone l’inevitabilità.
Saggezza dionisiaca: imparare a dominare se stessi conoscendo il
proprio corpo. Imparare a danzare. Divenire sciamani. Svegliarsi.
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