Spigoli e convegni (un’autobiografia)
di Matteo Meschiari


La Commedia è un’enciclopedia dei possibili. Da Cristoforo Landino a Ugo Maj, è un testo a cui si è fatto dire di tutto: Dante fascista, Dante viator, Dante sciamano, Dante neobabilonese. Qualcuno ci ha costruito sopra una carriera accademica, qualcuno lo ha imparato a memoria per recitarlo in un certame in un’osteria del Mugello. Tutti, probabilmente, meriterebbero secondo Dante l’antinferno. Ma chi sono gli ignavi? Recita Wikipedia: “Questi dannati sono coloro che durante la loro vita non hanno mai agito né nel bene né nel male, senza mai osare avere una idea propria, ma limitandosi ad adeguarsi sempre a quella del più forte”. Insomma, gli ignavi non esistono. Perché certamente basta pensarle, le azioni, per salvarsi a metà. Magari ci si può passare una vita intera a pensarle. Magari a Dante questa cosa non sarebbe piaciuta: uomo del fare e dei giudizi sul fare, politico fallito, moralista, eterno piagnucolatore, vomitatore su Firenze perché Firenze lo scaccia… Se se lo fosse tenuto avremmo solo qualche trattato erudito e qualche sonetto e canzone. In epoca più recente avrebbe avuto una tessera di partito e avrebbe organizzato convegni e giornate di studio, mentre la vita sarebbe scorsa dura e spigolosa solo per gli altri. Invece gli spigoli duri della vita sono arrivati, l’esilio, il viaggio, lo quanto sa di sale lo pane altrui. Ma vero dice? Ospite dei Malaspina, dei Della Scala, dei Da Polenta, mica nel sottoscala di una bettola bolognese. Ma si sa, ciascuno soffre a suo grado e misura, e se ha un sogno, una voglia, un’attesa non realizzata, il cruccio annega tutto l’orizzonte, e guai a contraddire. Diciamolo, siamo tutti un po’ messer Durante ghibellin fuggiasco, esuli, sconfitti dalla vita, viatores nomadi, sciamani in pectore, neobabilonesi in transito nelle non-città della non-presenza. Come lui piangiamo sul nostro disagio non più giovanile come se fosse il disagio di intere masse incomprese, come lui erriamo e non ci curiamo degli ignavi (che però non esistono, in una cultura dove basta dirsi per essere). Ma allora perché citiamo Dante mentre lui non cita noi? Dico proprio citare con nome e cognome. Forse perché la Commedia l’ha scritta lui? Forse perché si lamentava del brodo grasso, ma alla fine si è salvato il culo senza scuse, senza nascondersi dietro un dito, facendo il poeta e non limitandosi a dirlo? Ghibellini e Guelfi. Oggi belli e dannati da un lato, grassi accademici dall’altro. Ieri la battaglia della Lastra e la Peste oggi Madama Disoccupazione, ieri Fiorenza maledetta barra benedetta oggi il posto fisso, la carriera accademica, la famigliola cool. Oggi… Oggi? E se la smettessimo con i parallelismi, le dialettiche e il vittimismo autocelebrativo? E se ci rimboccassimo le maniche senza scuse e ci mettessimo a scrivere una Commedia? Magari pensando un po’ più alle cose e un po’ meno a noi stessi? O forse, ecco: la lamentela è la nostra Commedia, forse è questo il grande poema orale surmoderno che siamo dannati a comporre. No grazie. Sono stato precario fino a 39 anni, non avrò mai vita facile nella nicchia che mi sono scavato, non mi vergogno di avere uno stipendio fisso, talvolta organizzo convegni e gli spigoli della vita ce li ho anch’io. Non cerco compassione, da qualche tempo non cerco neanche un editore. Vorrei scrivere qualcosa di buono, passo il più possibile del mio tempo a provarci. Non mi piacciono, eticamente, le persone che descrivono come descrivere il deserto. Mi piacciono gli amici e le osterie.

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